19Gen

In Giappone Il ruolo di un Shachō (direttore) può proseguire anche successivamente al suo ritiro dall’azienda dando continuità così alla sua grande esperienza, trasformandosi in Kaichō, posizione assai rispettata in grado di influenzare profondamente le scelte aziendali pur senza avere veri e propri poteri formali, si ritiene in pratica molto importante l’esperienza maturata sul campo e la passione con la quale si è svolto il proprio lavoro nel corso degli anni, ciò al punto tale da creare una posizione informale ma universalmente riconosciuta e spesso consultata come un oracolo per le questioni più importanti legate allo sviluppo dell’azienda.

Il ruolo di un Amministratore Delegato può assumere diverse desinenze in base al paese di appartenenza, abbiamo il Direttore in paesi come la Svizzera, o Directeur Général in Francia, carica quest’ultima che in Italia invece in genere si attribuisce solitamente a un manager generalmente subordinato all’amministratore delegato, in altri paesi francofoni abbiamo anche Président-Directeur Général, più comunemente PDG, che è un acronimo come AD; CEO; MD. Ma cosa deve rappresentare per un’azienda la figura dell’Amministratore Delegato? Può essere solo una sigla? Certamente la risposta è no! Nel presiedere la carica di CEO di Point Service mi domando spesso quali debbano essere le caratteristiche che i miei interlocutori si aspettano da me, come vorrei essere percepita e quali sono le qualità che vogliono riscontrare nelle decisioni che prendo. Trovo sia importante porsi spesso queste domande poiché lavorando costantemente nel proporre la migliore versione di noi stessi non dobbiamo mai dimenticare di fare molta analisi introspettiva e di confrontarci con la realtà.

 

“A me sinceramente la parola leader non mi è mai piaciuta, più che altro mi metto a disposizione della squadra.”
(Francesco Totti)

 

Con la sua tipica genuinità Francesco Totti ci ricorda come sia davvero importante per un leader essere parte integrante di una squadra, di un team. Se è vero infatti che una delle grandi responsabilità del “capo” è quella di collocare strategicamente i collaboratori in base alle esigenze personali e professionali con l’obiettivo di ottenere il massimo dalle loro prestazioni; è anche vero che la prima opera di collocamento deve essere fatta proprio su noi stessi, per me è davvero importante essere parte integrante del team e non solo essere percepita come chi ha l’ultima parola o peggio ancora la sola firma di avallo ai contratti. Come sapete amo il lavoro che svolgo, lo faccio con tanta determinazione ma anche con tanta passione, ed è proprio quest’ultima secondo me la vera chiave di volta per ogni persona che si appresta ad assumere un ruolo di responsabilità; mettere passione in ciò che si fa, innamorarsi di un progetto e farne parte, riuscendo poi a trasmettere questi sentimenti ai propri collaboratori. Un AD, proprio per la natura delicata della sua posizione, dovrebbe essere un esempio, con le sue capacità deve saper stimolare gli altri a seguire la sua visione, coinvolgendo sapientemente sentimenti come l’amore e la passione, d’altro canto con che entusiasmo pensiamo possa essere emulato chi è freddo e distaccato? Come possiamo pensare di seguire una persona che tira avanti solo a citazioni accademiche?

 

“Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.”
(John Quincy Adams)

 

Negli ultimi tempi sento sempre più spesso parlare di Intelligenza Emotiva come nuovo e importante parametro di valutazione di un profilo professionale, specie se si parla di Top Manager, ciò rispecchia pienamente il mio pensiero in merito, sostengo da sempre infatti la necessità di dare più spazio alle proprie emozioni lasciando che esse ci guidino alla conquista della strada per il successo, non dovremmo mai reprimere le nostre emozioni, per di più nella errata convinzione di offrire una performance maggiormente professionale. Un vero Leader è colui che si immedesima emotivamente in tutti i suoi collaboratori o interlocutori, è colui in grado di cambiare il suo punto di vista adottando quello della sua controparte anticipandone i pensieri e le emozioni.

 

 

“A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni.”
(Alessandro Baricco)

 

Ecco quindi che mentre in quasi tutti i paesi del mondo la figura dell’AD ha più o meno lo stesso significato, in Giappone invece esso si divide in due ruoli ben distinti, tenendo in grande conto l’esperienza emotiva che un ex AD può mettere a disposizione per il bene comune di tutto il team, elementi chiave come passione, esperienza e qualità del rapporto avuto diventano imprescindibili di una figura che a volte in altri paesi è solo di facciata. Assumersi delle grandi responsabilità significa anche accettare il fatto di essere continuamente esposti a critiche e giudizi, se non addirittura, come nel mio caso in quanto donna, a pregiudizi, bisogna pertanto essere pronti emotivamente a contrastare qualunque spirale negativa possa formarsi intorno a noi, innescata da tutte quelle volte che abbiamo preso decisioni importanti senza tenere conto delle nostre emozioni, passioni o doveri. Essere un CEO, un amministratore delegato, un PDG o semplicemente GEMMA dipende solo da noi, da come impariamo ad affrontare i problemi quotidiani che un incarico di responsabilità genera continuamente. Essere un AD significa non solo farsi carico delle proprie responsabilità ma anche e soprattutto di quelle dei propri interlocutori, i fattori da considerare sono sempre molteplici e tutti hanno bisogno della nostra intelligenza emotiva per poter essere analizzati da più punti di vista, cercando così la strada migliore nell’intricato labirinto che è la vita, senza MAI dimenticare chi ci sta di fronte.

 

#GemmaDeiNumeri1